Epatite acuta indotta da Aloe vera: case report e revisione della letteratura

A cura di Silvia Di Giacomo, Dipartimento Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”, Sapienza Università di Roma

L’epatotossicità è una delle più frequenti reazioni avverse a farmaci e negli USA si stima che il 20% dei casi di danno epatico sia dovuto all’assunzione di prodotti a base di piante (1). L’aloe (Aloe spp.) è utilizzata in tutto il mondo per le numerose proprietà (antiossidanti, anti-infiammatorie, dermoprotettive, antitumorali, antidiabetiche, etc.) che le vengono ascritte. Gli usi più comuni riguardano il trattamento della stipsi, la cicatrizzazione delle ferite e alcuni deficit del sistema immunitario (2). Nonostante il largo impiego, i possibili rischi di tossicità associati all’uso di aloe non sono ancora del tutto noti.

Di seguito viene riportato il case report di Parlati et al. che descrive un caso di epatite acuta riconducibile all’uso di Aloe vera insieme ad una rassegna della letteratura sull’argomento (3).

Nel maggio 2015, una donna di 68 anni è stata ricoverata presso il reparto di Epatologia, Gastroenterologia e Nutrizione dell’Ospedale “Antoine-Béclère” (Clamart, Francia) per una epatite acuta.

La paziente era asintomatica e al momento del ricovero ha fornito gli esami del sangue effettuati nell’ambito di controlli di routine. All’anamnesi, la paziente ha dichiarato di assumere metformina, valsartan e rosuvastatina per il trattamento, rispettivamente, di diabete mellito di tipo 2, di ipertensione arteriosa e dislipidemia. Inoltre, non risultavano malattie epatiche pregresse, abuso di alcool e altre sostanze, viaggi all’estero e altri fattori di rischio per l’epatite virale.

La paziente non aveva assunto ultimamente nuovi farmaci, tuttavia riferiva che negli ultimi mesi stava assumendo compresse a base di Aloe vera. L’esame clinico ha rivelato un lieve stato di sovrappeso (BMI 26,9 kg/m2), il volume del fegato e della milza erano normali, non era presente dolore nel quadrante superiore destro né ittero. Non vi erano segni di malattia epatica cronica.

Dalle analisi chimico-cliniche risultavano: ALT 196 IU/L (valori normali <35), AST 179 IU/L (valori normali <35), GGT 196 IU/L (valori normali <36).

Funzionalità renale, elettroliti sierici, lipidi, emoglobina glicata, CPK, elettroforesi, emoglobina, conta piastrinica, conta dei globuli bianchi e delle altre cellule ematiche erano nella norma. La paziente presentava un leggero ipotiroidismo (TSH 7,17µIU/mL; valori normali <4,2).

I test per l’epatite A, B, C ed E erano negativi, l’esame ecografico addominale e l’elastografia epatica erano nella norma.

Mediante specifici test immunologici e di imaging sono state escluse anche l’epatite autoimmune, la sindrome di Budd-Chiari e la trombosi della vena porta.

Dopo sospensione del preparato a base di Aloe vera si è osservato un graduale miglioramento dei test di funzionalità epatica, che si sono normalizzati entro 51 giorni (ALT 17 IU/L, AST 17 IU/L, GGT 43 IU/L).

La valutazione dell’imputabilità, effettuata mediante il metodo RUCAM (Roussel Uclaf Causality Assessment Method), ha evidenziato un’associazione “probabile” tra epatite e assunzione del prodotto. Non disponendo dei valori di ALP al momento della diagnosi di epatite acuta, il danno epatico è stato classificato di tipo epatocellulare, sulla base degli indici di citolisi e colestasi ottenuti in analisi del sangue successive. L’associazione “probabile” è stata motivata dall’esclusione di cause alternative; inoltre la paziente non stava assumendo farmaci nuovi e l’interruzione della somministrazione di Aloe vera ha portato rapidamente alla normalizzazione della funzionalità epatica. Purtroppo, essendo stato il preparato acquistato in Africa non ne era nota la composizione esatta, la purezza e il dosaggio.

Oltre al caso descritto, in letteratura sono riportati altri 9 casi di danno epatico associato all’uso di Aloe vera (3,4) in pazienti (7 femmine, 2 maschi) di età compresa tra 21 e 73 anni. Sebbene la dose giornaliera di Aloe vera assunta e il periodo di latenza della reazione siano variabili, il danno è stato sempre di tipo epatocellulare. Il nesso di causalità secondo il RUCAM score è risultato “probabile” in sette casi e “certo” in due. È inoltre presente un rechallenge positivo.

Considerando l’esiguo numero di casi riportati, è difficile spiegare i meccanismi alla base del danno epatico indotto da Aloe vera. I prodotti a base di piante medicinali determinano nella maggior parte dei casi un danno di tipo idiosincratico, ossia imprevedibile e dose-indipendente. Tale tipo di danno non può essere riprodotto nell’animale da laboratorio, pertanto, la reazione idiosincratica indotta da piante nell’uomo rimane difficile da valutare.

COMMENTO

I dati riportati mostrano che l’uso di Aloe vera può essere associato ad epatotossicità. In particolare il case report sottolinea anche l’importanza della qualità nell’uso dei preparati vegetali. Infatti, la composizione del preparato a base di Aloe vera assunto dalla paziente non era caratterizzata da un punto di vista quali-quantitativo; di conseguenza, non si può escludere che la tossicità osservata sia stata causata dalla presenza di agenti contaminanti o adulteranti. La mancanza di informazione sulla standardizzazione non consente inoltre di stabilire se la tossicità era dose-correlata.

Per quanto riguarda il meccanismo, sebbene il quadro clinico lasci ipotizzare una reazione idiosincratica, va considerato che l’aloe contiene antrachinoni. Altre piante ad antrachinoni, tra cui la cascara (Cascara sagrada) ma soprattutto Polygonum multiflorum, sono state coinvolte in reazioni epatiche e sembra che l’epatotossicità osservata sia da riferire all’antrachinone emodina (5,6).

Infine, è importante considerare che la paziente era in politerapia farmacologica. La concomitante assunzione del preparato a base di Aloe vera potrebbe aver determinato un’interazione di tipo farmacocinetico. È noto, infatti, che l’aloe è in grado di inibire sia gli enzimi del citocromo P450 che quelli di fase 2 (7). Inoltre, evidenze scientifiche dimostrano che gli antrachinoni sono in grado di inibire i trasportatori responsabili dell’eliminazione dei farmaci nella bile (8). Questi effetti sul metabolismo potrebbero aver determinato un accumulo di farmaci a livello epatico con conseguente tossicità.

Il caso descritto, insieme ai dati di letteratura, conferma la necessità di utilizzare con prudenza i preparati vegetali e di assumerli sotto la supervisione di personale sanitario adeguatamente formato relativamente al riconoscimento di possibili reazioni avverse dovute a tali prodotti.

Bibliografia

1.      Navarro VJ, et al. Liver injury from herbal and dietary supplements. Hepatology 2017; 65: 363-373.

2.      Cock IE. The genus aloe: phytochemistry and therapeuticuses including treatments for gastrointestinal conditions andchronic inflammation. Prog Drug Res 2015; 70: 179—235.

3.      Parlati L, et al. Aloe vera-induced acute liver injury: A case report and literature review. Clin Res Hepatol Gastroenterol. 2016 Nov 14. pii: S2210-7401(16)30150-4.

4.      Hervás-García JV, et al. Toxic hepatitis after concomitant interferon beta and aloe vera treatment in a patient with multiple sclerosis: A case report. Neurologia. 2016 Feb 10. pii: S0213-4853(16)00003-7.

5.      Nadir A, et al. Cascara sagrada-induced intrahepatic cholestasis causing portal hypertension: case report and review of herbal hepatotoxicity. Am J Gastroenterol 2000; 95: 3634-7.

6.      Dong H, et al. Eighteen cases of liver injury following ingestion of Polygonum multiflorum. Complement Ther Med 2014; 22: 70-4.

7.      Rabe C, et al. Acute hepatitis induced by an Aloe vera preparation: a case report. World J Gastroenterol 2005; 11: 303-4.

8.      Kang L, et al. Polygoni Multiflori Radix derived anthraquinones alter bile acid disposition in sandwich-cultured rat hepatocytes. Toxicol In Vitro 2017; 40: 313-323.

Ultimo aggiornamento: 08 maggio 2017