A cura di Silvia Di Giacomo, Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”, Sapienza – Università di Roma. Gruppo di lavoro di Farmacognosia, Fitoterapia e Nutraceutica della Società Italiana di Farmacologia.
(Riferito da Rao T, Liu YT, Zeng XC, Li CP, Ou-Yang DS. The hepatotoxicity of Polygonum multiflorum: The emerging role of the immune-mediated liver injury. Acta Pharmacol Sin 2020; 10.1038/s41401-020-0360-3)
Polygonum multiflorum Thunb. (Fam. Polygonaceae) è una pianta medicinale tipica della Medicina Tradizionale Cinese (MTC) ma ampiamente utilizzata anche in Occidente. Nella MTC la droga grezza (radici) si utilizza per depurare l’organismo da tossine, aumentare il contenuto di acqua nell’intestino e favorire l’evacuazione, mentre la droga trattata (ad es. con vapore) è impiegata per i suoi effetti tonici e anti-aging.
A P. multiflorum sono inoltre ascritte proprietà antiossidanti, antibatteriche, anti-iperlipidemiche, anti-aterosclerotiche, immunomodulanti ed epatoprotettive (1).
Negli ultimi anni, la sicurezza di P. multiflorum ha ricevuto molta attenzione a causa delle crescenti segnalazioni di casi di epatotossicità pubblicati in tutto il mondo (2-4).
In questo contesto si inserisce l’articolo di Rao et al. (2020), oggetto della presente recensione, che si propone di comprendere il meccanismo alla base dell’epatotossicità da P. multiflorum mediante una revisione della letteratura.
Per molto tempo, si è ritenuto che il danno epatico fosse dovuto ad un meccanismo di tossicità diretta da attribuire ai fitocostituenti della radice. Infatti, i derivati antrachinonici (e.g. emodina e fiscione) e i loro metaboliti possono indurre apoptosi degli epatociti e stress cellulare attraverso l’interazione con macromolecole e glutatione.
Tuttavia, alle dosi normalmente impiegate, gli epatociti sono esposti a basse concentrazioni di composti tossici; pertanto, le capacità rigenerative del fegato e i sistemi di riparazione riescono a mantenere la normale struttura e funzionalità delle cellule epatiche, proteggendo così il fegato dal danno.
Il meccanismo di tossicità diretta potrebbe quindi spiegare i casi di epatotossicità dovuti all’assunzione di dosi superiori alla norma, in quanto in tal caso gli epatociti sarebbero esposti ad elevate concentrazioni di composti tossici. Tuttavia, la maggior parte dei casi di epatotossicità si verifica a dosi al di sotto delle massime consentite e questo lascia supporre che altri meccanismi siano coinvolti nel danno epatico.
Rao e collaboratori ipotizzano che il danno epatico indotto da P. multiflorum sia multifattoriale e che oltre alla tossicità diretta dei fitocostituenti anche il sistema immunitario giochi un ruolo importante. In particolare, sia l’immunità innata che acquisita sembrano essere coinvolte.
Infatti, gli epatociti danneggiati rilasciano molecole (damage-associated molecular patterns molecules) che vengono riconosciute dai toll like receptors presenti sulle cellule immunitarie del fegato (e.g. cellule di Kupffer). Ciò determina l’attivazione della risposta immunitaria innata con reclutamento di cellule e molecole infiammatorie che promuovono la morte cellulare.
Tale meccanismo non spiega però l’insorgenza ritardata dell’epatotossicità da P. multiflorum che si osserva in ambito clinico (30 – 45 giorni dall’inizio del trattamento).
Nell’insorgenza tardiva del danno sembra essere coinvolta l’immunità acquisita che spiegherebbe anche l’insorgenza più rapida che si osserva in seguito a risomministrazione di P. multiflorum (18 giorni).
Infatti, emodina, fiscione ed i loro metaboliti possono fungere da apteni e legarsi covalentemente a proteine endogene.
L’esposizione di tali addotti sulla superficie delle cellule che presentano l’antigene, attraverso il sistema HLA (human leukocite antigen), determina quindi l’attivazione dei linfociti T CD8+ e, di conseguenza, della risposta immunitaria citotossica che danneggia le cellule epatiche. Il rilascio di molecole infiammatorie contribuisce, inoltre, alla propagazione e all’esacerbazione del danno.
Recentemente, è stato inoltre dimostrato che un polimorfismo a carico del gene HLA (HLA-B*35:01) può incrementare la suscettibilità al danno epatico indotto da P. multiflorum. Tuttavia, il valore predittivo di tale polimorfismo è limitato. Infatti, in alcuni casi, sebbene esso sia presente, non si manifesta alcuna reazione epatotossica, molto probabilmente perché P. multiflorum è in grado di indurre citochine ad azione immunosoppressiva (interleuchina 10) che contrasterebbero la concomitante attivazione dell’immunità acquisita, inducendo così una tolleranza al danno epatico.
Alla luce delle evidenze scientifiche, gli autori concludono che il danno epatico da P. multiflorum è multifattoriale. Sebbene siano stati fatti dei progressi nella comprensione del meccanismo alla base della tossicità, molti aspetti ancora rimangono da chiarire, in particolare: 1) il potenziale ruolo dei linfociti B, in quanto generano anticorpi e cellule B di memoria, 2) ulteriori polimorfismi del gene HLA, in quanto sono spesso coinvolti nel danno epatico indotto da farmaci (e.g. amoxicillina/acido clavulanico), 3) il potenziale ruolo del microbiota intestinale, in quanto potrebbe contribuire alla formazione di composti tossici, ma anche alla modulazione del sistema immunitario.
Commento
L’epatotossicità è una delle reazioni avverse più comuni che si verifica in seguito ad assunzione di prodotti a base di piante medicinali. Esempi noti sono il danno epatico indotto da Chelidonium majus, da Piper methysticum, da piante contenenti alcaloidi pirrolizidinici (e.g. Symphytum spp, Senecio spp) e recentemente da Curcuma longa (5,6).
Considerando la natura complessa di un prodotto a base di piante medicinali, individuare i composti responsabili della tossicità è molto difficile e, anche quando ciò è possibile, spesso il meccanismo attraverso il quale agiscono rimane sconosciuto.
Inoltre, bisogna considerare che, in molti casi, il danno epatico indotto dal preparato vegetale è di tipo idiosincrasico, quindi imprevedibile e strettamente dipendente dalle caratteristiche dell’individuo che manifesta la reazione.
La messa a punto di modelli sperimentali che permettano di indagare il meccanismo alla base della reazione idiosincrasica rappresenta un’importante sfida che potrebbe fornire un valido aiuto alla comprensione della tossicità associata alle piante medicinali.
Inoltre, l’individuazione di specifici biomarcatori, come i polimorfismi a carico del gene HLA o di geni coinvolti nella tolleranza immunologica, potrebbe rappresentare una strategia preventiva al fine di evitare le reazioni avverse associate all’impiego di piante medicinali, soprattutto in individui suscettibili. L’impiego dei biomarcatori potrebbe anche consentire una rapida identificazione della reazione avversa, consentendo quindi un trattamento più efficace e una riduzione delle complicanze cliniche ad essa associate.
Bibliografia
1. Liu Y, et al. Polygonum multiflorum Thunb.: A Review on Chemical Analysis, processing Mechanism, Quality Evaluation, and Hepatotoxicity. Front Pharmacol 2018; 9: 364.
2. Park GJ, et al. Acute hepatitis induced by Shou-Wu-Pian, a herbal product derived from Polygonum multiflorum. J Gastroenterol Hepatol 2001; 16: 115.
3. Mazzanti G, et al. New case of acute hepatitis following the consumption of Shou Wu Pian, a Chinese herbal product derived from Polygonum multiflorum. Ann Intern Med 2004; 140: W30.
4. Jung KA, et al. Drug-induced liver injury: twenty five cases of acute hepatitis following ingestion of Polygonum multiflorum thunb. Gut Liver 2011; 5: 493.
5. Frenzel C, Teschke R. Herbal hepatotoxicity: clinical characteristics and listing compilation. Int J Mol Sci 2016; 17: 588.
6. Donelli D, et al. Considerations about turmeric-associated hepatotoxicity following a series of cases occurred in Italy: is turmeric really a new hepatotoxic substance? Intern Emerg Med 2019; 10.1007/s11739-019-02145-w.