A cura di Alessandra Russo. Specialista in Tossicologia Medica. Messina
Caso clinico (1)
Una donna di 27 anni, affetta da depressione, era in trattamento con venlafaxina (50 mg/die).
Poiché la depressione era di grado severo, il dosaggio della venlafaxina venne gradualmente aumentato a 225 mg/die.
Inoltre, la paziente soffriva di ansia e disturbi del sonno, per cui venne trattata anche con lorazepam (1 mg/die) e zolpidem (10 mg/die).
I risultati degli esami di laboratorio mostrarono un aumento dei livelli di AST (767 UI/L; range di riferimento 5–50 UI/L), ALT (1777 UI/L; range di riferimento 7–40 IU/L), fosafatasi alcalina (171 UI/L; range di riferimento 40–150 IU/L) e gamma-GT (147 UI/L; range di riferimento 7–50 IU/L).
L’ecografia epatica non evidenziò dilatazione dei dotti biliari intraepatici o extraepatici, né epatomegalia o splenomegalia.
Dopo aver sospeso il trattamento con tutti i farmaci, i valori dei parametri di funzionalità epatica iniziarono a migliorare.
Di solito la venlafaxina è ben tollerata (2). Tuttavia, può determinare l’insorgenza di reazioni quali nausea, vomito, vertigini, diarrea, secchezza delle fauci, riduzione dell’appetito, stipsi, sonnolenza (3-5).
Sono stati riportati anche casi di danno epatico associati al trattamento con venlafaxina, con transitorio aumento asintomatico dei livelli delle transaminasi (6-8).
Nei pazienti in trattamento con venlafaxina e altri antidepressivi, è importante il monitoraggio dei parametri di funzionalità epatica.
Qualora i valori risultassero alterati, è opportuno interrompere il trattamento con il farmaco sospettato e intraprendere una terapia adeguata.
Bibliografia
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