Un approccio critico per la valutazione di efficacia clinica, eventi avversi e interazioni tra farmaci e piante medicinali

A cura di Annabella Vitalone; Dipartimento Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”. Sapienza Università di Roma

(riferito da Izzo AA, et al. A critical approach to evaluating clinical efficacy, adverse events and drug interactions of herbal remedies. Phytother Res 2016; 30: 691-700)

 

I prodotti a base di piante medicinali continuano ad essere un’opzione di trattamento, accettata in Europa e USA, dove le vendite nel 2014 sono aumentate di circa il 7% e circa il 19% delle persone dichiara di avere utilizzato almeno un integratore alimentare a base di piante. Proprio a causa di questa grande popolarità, è importante avere informazioni aggiornate sul profilo di rischio-beneficio di tali prodotti.

Secondo quanto riportato dall’American Botanical Council (1), le dieci piante medicinali più vendute negli USA sono le seguenti: Marrubium vulgare (marrubio), Vaccinium macrocarpon (mirtillo rosso americano), Echinacea spp. (diverse specie di echinacea), Actea racemosa (cimicifuga), Linum usitatissimum (lino), Valeriana officinalis (valeriana), Pausinystalia yohimbe (yohimbe), Citrus spp. (diverse specie di Citrus, per i complessi bioflavonoidici), Serenoa repens (serenoa) e Zingiber officinalis (zenzero).

Il mezzo più utile per valutare le evidenze scientifiche degli estratti vegetali, relativamente alla loro efficacia clinica, è potere disporre di rassegne sistematiche/metanalisi. Negli anni 2013–2015 ne sono state pubblicate diverse, tuttavia la qualità metodologica di alcuni studi si è dimostrata talmente scarsa da non potere trarre conclusioni definitive. Anche (e soprattutto) gli studi nel settore delle piante medicinali, infatti, non sono privi di limitazioni; vengono spesso tralasciate descrizioni rilevanti quali: denominazione latina della pianta e parte utilizzata, metodo di preparazione dell’estratto, titolo in principi attivi o marker, ecc. Tali omissioni rendono i risultati ottenuti non confrontabili, anche se effettuati sulla stessa pianta. In questa recensione particolare attenzione verrà rivolta alla sicurezza delle piante medicinali, mentre per informazioni relative all’efficacia delle stesse, si rimanda all’articolo originale (Izzo et al., 2016). Va tuttavia ricordato che gli studi di qualità metodologica migliore riportano un’efficacia dimostrata per Tanacetum parthenium (nella prevenzione dell’emicrania) e Allium sativum (nell’ipertensione).

Similmente all’efficacia, solo la totalità dei dati clinici disponibili (RCT, casi clinici, studi di sorveglianza post-marketing e segnalazioni spontanee), eventualmente raggruppati in revisioni sistematiche di qualità, può fornire informazioni affidabili sulla sicurezza delle piante medicinali. E’ ampiamente noto che alcune piante sono pericolose per la salute dell’uomo per la presenza di alcune molecole farmacologicamente attive, esempi classici riguardano: Aconitum spp. (cardio- e neuro-tossico per la presenza di aconitina), Ephedra sinica (effetti cardiovascolari associati all’efedrina), Piper methysticum (epatotossicità associata ai kavapironi), ecc.

Effetti collaterali, generalmente lievi e reversibili, vengono descritti da rassegne sistematiche di buona qualità per: Serenoa repens (disturbi gastrointestinali, rinite, cefalea, diminuzione della libido), Vitex agnus castus (cefalea, alterazioni del ciclo mestruale, reazioni gastrointestinali e dermatologiche), Crategus spp. (disturbi gastrointestinali, vertigini), Viscum album (febbre, reazioni allergiche, epatopatia ad alte dosi, ecc.). Frequenti sono poi gli effetti avversi indotti da piante di uso comune come Glycine max (reazioni allergiche ed effetti ormono-simili) e Glycyrrhiza glabra (ipokalaliemia, ipertensione) (2).

Nel complesso, anche se sono stati riportati molti casi di reazioni avverse da piante medicinali, un’attenta valutazione di causalità indica che la loro prevalenza è bassa ed il numero di reazioni clinicamente gravi è limitato. Tuttavia, tali reazioni richiedono comunque attenta vigilanza (2).

Da tenere in idonea considerazione è anche la probabilità delle interazioni farmacologiche e l’uso di piante medicinali in popolazioni fisiologicamente a maggiore rischio, quali: donne in gravidanza, in allattamento, popolazione pediatrica, adolescente e geriatrica.

Relativamente alle interazioni, deve essere chiaro che per stabilire la giusta relazione causa-effetto è opportuno disporre di case reports abbinati a studi di farmacocinetica (3). Per interazioni specifiche, ben documentate, si rimanda al lavoro originale oggetto della presente recensione. Va tuttavia ricordato che, sebbene molte interazioni siano prive di gravi conseguenze cliniche, alcune richiedono particolare attenzione, come quelle ascrivibili all’uso di iperico (Hypericum perforatum) che se associato a diversi farmaci (ciclosporina, indinavir, nevirapina, digossina, warfarin, irinotecan, imatinib, ecc.) ne riduce l’efficacia.

Secondo quanto riportato da Holst e collaboratori (4), il 58% delle donne in gravidanza usa uno o più prodotti contenenti piante medicinali; le più comuni sono: zenzero (Zingiber officinale), mirtillo rosso americano (Vaccinium macrocarpon), lampone (Rubus ideaus), camomilla (Matricaria recutita), menta (Mentha piperita) ed echinacea (Echinacea spp.). Da una rassegna sistematica (5) è emerso che esistono 14 studi di qualità, condotti sull’efficacia di piante medicinali utilizzate in gravidanza, molti dei quali riguardano lo zenzero, che attenua significativamente la nausea gravidica, e l’iperico, che esercita effetti benefici nella cicatrizzazione delle ferite in donne che hanno subito taglio cesareo, mentre non sono stati riscontrati effetti clinicamente significativi per il mirtillo rosso americano (non previene le infezioni delle vie urinarie), l’aglio (non è efficace nel prevenire la preclampsia) e le foglie di lampone (nonostante induca travaglio, non ne riduce la prima fase). Cautela va poi adottata nell’uso di alcune piante, come ad esempio: Vitex agnus castus (iperstimolazione ovarica), Angelica sinensis (ipertensione materna), ecc. Il reale nesso di causalità di quanto sopra esposto necessita comunque essere stabilito.

Relativamente alle piante medicinali utilizzate durante l’allattamento, gli studi sono di scarsa qualità metodologica così come le prove a supporto della loro efficacia e sicurezza; andrebbero pertanto controindicate sino ad evidenze scientifiche migliori.

L’uso di prodotti a base di piante medicinali è comune anche nella popolazione pediatrica ed adolescente. Nel 2014, è stato stimato che il 5,8% di bambini ed adolescenti tedeschi ed il 3,9% dei bambini statunitensi hanno usato prodotti erboristici (6). Nella popolazione pediatrica ed adolescente, le rassegne sistematiche sono ancora più scarse che in altri settori. Ne esistono due, relative all’efficacia dell’edera nel trattamento dell’asma bronchiale ed un’altra rassegna relativa ad una combinazione di piante usate nel trattamento delle coliche del lattante (7). Riguardo alla sicurezza dei prodotti a base di piante in questa giovane popolazione, premessa l’incompletezza dei dati riportati, in una recente rassegna sistematica sono stati identificati 128 possibili casi di reazioni averse associate all’uso di rimedi erboristici nei bambini (il 23% si sono verificati in soggetti di età compresa tra 9 e 18 anni, il 38% in bambini tra 2 e 8 anni ed il 37% in bambini al di sotto dei 2 anni) (8). I principali eventi avversi riportati erano di natura neurologica (35% convulsioni, depressione del sistema nervoso centrale e letargia), cardiovascolare (10% ipertensione e problemi ematici) e gastrointestinale (14% nausea, vomito e diarrea), insieme a tossicità epatica acuta ed ittero (11%). Polygonum multiflorum e Piper methysticum sono state le piante associate a questi ultimi effetti; Eleutherococcus senticosus sembra essere stato responsabile di irsutismo neonatale; l’ingestione accidentale dell’olio di Melaleuca alternifolia è stato associato ad atassia (8).

Anche molte persone anziane usano (e/o associano a farmaci) prodotti naturali, per il trattamento di sintomi correlati a patologie croniche, delle quali sono generalmente affetti. In questa coorte di pazienti molto utilizzate risultano piante come Ginkgo biloba e Allium sativum, che possono interagire con anticoagulanti (9).

Commento

Dall’analisi dell’American Botanical Council delle piante medicinali più vendute, oltre a quelle precedentemente riportate, vi sono aloe, cardo mariano, aglio, cannella, rodiola e molte altre ancora (1). Degno di nota è il fatto che il marrubio (forse di uso non troppo comune da noi) viene riportato come tra le piante più vendute, poiché è ingrediente molto utilizzato (non necessariamente come mono-componente) in numerosissimi preparati in pastiglie per la gola. Le altre piante, che troviamo ai primi posti della classifica, rispecchiano tra l’altro una realtà ben diversa da quella italiana, per la quale tuttavia non esistono dati commerciali strutturati, a cui fare riferimento. Riguardo alle interazioni, va considerato che non tutte le interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche che si osservano in vitro sono facilmente estrapolabili alla pratica clinica; vale a dire che la significatività statistica di un dato preclinico (comunque utile, in quanto indicativo) non può essere necessariamente tradotta in un effetto clinicamente rilevante (tanto più se gli effetti non sono univoci) (10).

Relativamente alle popolazioni più a rischio, va ricordato che gli studi clinici specificatamente rivolti alle donne in gravidanza/allattamento sono scarsi per i farmaci e lo sono ancora di più per le piante medicinali, dove la non copertura brevettuale di quanto in natura già esiste non incentiva la ricerca nel settore. La popolazione pediatrica è poi spesso esposta a reazione avverse, soprattutto di natura allergica e spesso evitabili, a piante medicinali (11).

Il problema che viene spesso riscontrato negli studi è che le persone non esperte del settore erboristico non riescono a comprendere l’importanza di aspetti quali: la variabilità nella composizione dei prodotti, la corretta identificazione botanica ed un idoneo controllo di qualità. Purtroppo anche le nuove normative non aiutano necessariamente a migliorare; basti pensare che persino per i “Medicinali vegetali di uso tradizionale” (regolamentati dalla Dir. 2004/24 CE) è necessario garantire la qualità del prodotto, ma non la sua standardizzazione, poiché l’efficacia non deve essere dimostrata per la loro registrazione (basata solo su una lunga tradizione di impiego). Il problema è poi che, mentre alcune piante sono state associate ad una qualche efficacia (e.g. zenzero nella prevenzione e trattamento di nausea e vomito), altre non solo non hanno dimostrato particolari benefici, ma sono state associate a reazioni averse ed interazioni con farmaci (vd. sopra). Tuttavia gli studi non sono in genere rigorosi, sono carenti di importanti informazioni (caratterizzazione fitochimica, standardizzazione, qualità) ed ogni conclusione va pertanto interpretata con cautela. Gli studi sulle piante medicinali andrebbero strutturati con lo stesso rigore e accuratezza degli studi clinici condotti per i farmaci e devono essere conformi a quanto riportato nelle linee guida riferite a standard consolidati per le rassegne sistematiche e matanalisi (e.g., Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-analyses guidelines, PRISMA). In mancanza di dati clinici, di prove di sicurezza attendibili e di efficacia migliori bisognerebbe considerare le piante medicinali controindicate, almeno in popolazioni particolarmente suscettibili a possibili effetti tossici o comunque indesiderati (i.e., donne in gravidanza, allattamento, popolazione pediatrica e geriatrica).

Bibliografia

1.      Smith T et al. Herbal and dietary supplement sales in the US increase 6/8% in 2014. HerbalGram 2015; 107: 52–59. Disponibile presso http://cms.herbalgram.org/herbalgram/issue107/hg107-mktrpt-2014hmr.html. Ultimo accesso: 8 marzo 2017

2.      Di Lorenzo C et al. Adverse effects of plant food supplements and botanical preparations: a systematic review with critical evaluation of causality. Br J Clin Pharmacol 2015; 79: 578-92.

3.      Izzo AA. Interactions between herbs and conventional drugs: overview of the clinical data. Med Princ Prac 2012; 21: 404–28.

4.      Holst L et al. Safety and efficacy of herbal remedies in obstetrics – review and clinical implications. Midwifery 2011; 27: 80–6.

5.      Dante G et al. Herb remedies during pregnancy: a systematic review of controlled clinical trials. J Matern Fetal Neonatal Med 2013; 26: 306–12.

6.      CDC National Health Statistics Report #12: complementary andalternative medicine use among adults and children: United States 2007. http://www.cdc.gov/nchs/data/nhsr/nhsr012.pdf 

7.      Hunt K, Ernst E. The evidence-base for complementary medicine in children: a critical overview of systematic reviews. Arch Dis Child 2011; 96: 769–76.

8.      Gardiner P et al. A systematic review of the reporting of adverse events associated with medical herb use among children. Glob Adv Health Med 2013; 2: 46–55.

9.      de Souza Silva JE et al. Use of herbal medicines by elderly patients: A systematic review. Arch Gerontol Geriatr 2014; 59: 227–33.

10.  Saxena A et al. Pharmacovigilance: effects of herbal components on human drugs interactions involving cytochrome P450. Bioinformation 2008; 3: 198-204.

11.  Menniti-Ippolito F et al. Surveillance of suspected adverse reactions to natural health products: the case of propolis. Drug Saf 2008; 31: 419-23.

Ultimo aggiornamento: 08 maggio 2017